Oceano Pacifico: Isola di Pasqua
L' Isola di Pasqua si trova a quasi 4000 chilometri dalla costa cilena, e ad
altrettanti da Tahiti, leggermente a sud del Tropico del Capricorno. Di
origine interamente vulcanica, l'isola di Pasqua ha pressappoco la superficie
dell'Elba, con la forma di un triangolo isoscele. L'acqua abbonda, soprattutto
perchè in fondo a due crateri s'è formato un lago. Nessun elemento geologico
indica che, dopo l'avvento dell'uomo sulla terra, l'isola di Pasqua fosse
collegata ad altri mondi: oggi può essere raggiunta da Santiago del Cile,
oppure da Tahiti con veloci quadrimotori di linea. Una piccola nave da carico
fa servizio, ogni tre mesi, fra Valparaiso e Pasqua: per la sola andata
occorrono quindici giorni. L'isola venne scoperta dal navigatore olandese
Roggeveen nel 1722, il lunedì di Pasqua: di qui il suo nome. Ma, nella lingua
indigena, l'isola aveva un altro nome: «Rapa Nui», oppure «Te Pito Te Henua»
che significa «ombelico del mondo ». L'isola era stata successivamente
raggiunta da schiavisti e da pirati; quando la Francia s'insediò in Polinesia,
temendo che quella terra cadesse sotto il controllo dell'Inghilterra,
consigliò il Cile di metterci le mani sopra e di annettersela. Era il 1888. Da
allora l'isola di Pasqua ha sempre fatto parte della Repubblica del Cile. Gli
abitanti sono pochi: circa millecinquecento. Altri duecento vivono a quanto
pare nel Cile continentale. I residenti si sentono polinesiani, parlano
polinesiano, amano polinesiano; frequentano però la scuola istituita dai
cileni, e hanno imparato perciò lo spagnolo. E con lo spagnolo, il
cristianesimo. L'indigeno non è bello; anche nelle donne la bellezza è
l'eccezione: i denti cadono presto, questo spiega i loro sorrisi piuttosto
sgradevoli. La grande maggioranza della popolazione è concentrata nel
villaggio di Hangaroa, vicino al quale si trova oggi un piccolo aeroporto. Uno
dei pochi capitali di cui dispone l'isola è rappresentato dai cavalli: circa
tremila. A suo tempo, lo stato di abiezione fisica, in cui gli abitanti
vennero ridotti dagli schiavisti, favorì la diffusione della lebbra: oggi però
scomparsa. E questo spiega un'altra cosa: il fatto che in alcune zone del Cile
«abitante dell'isola di Pasqua» è sinonimo di «lebbroso ».
Sull'isola, in verità, e sui suoi abitanti ci sono giudizi altrettanto
sgradevoli: come quello per esempio di immoralità. Si sa che prima del
matrimonio gli indigeni conducono una vita sessuale molto libera, ma anche
molto autentica, perciò l'adulterio è quasi inesistente. Altra fama,
certamente immeritata: quella del ladrocinio. Vige nella comunità una legge
secondo la quale è permesso all'indigeno di impossessarsi di tutto ciò che,
pur non essendo suo, non serve più ad altri. Facciamo un esempio: mentre io
sto costruendo la mia casa, i miei arnesi non verranno toccati; quando avrò
terminato la mia casa, ognuno potrà lmpossessarsene.
Ciò che ha contribuito a rendere famosa l'isoletta, sono le statue, o «moai ».
Le più recenti risalgono al XVII secolo. In quel periodo gli abitanti
dell'isola scolpirono, trasportarono ed eressero un migliaio di «moai», i più
piccoli dei quali pesano alcune tonnellate e i più grandi, cento. Si tratta di
busti, poggianti su altari di pietra detti «ahu », e hanno la schiena voltata
all'Oceano. DeI migliaio di statue che si ritiene siano state erette, ne
restano 460.
Che cosa dicono gli scienziati a riguardo? Pensano che i «moai» siano di
concezione indigena, non si tratterebbe quindi di «importazioni ». Pensate al
trasporto di quelle pesantissime statue: dalla cava vulcanica sino all'« ahu
», lontano chilometri.
Mistero anche sull'antica religione dell'isola: si sa che gli indigeni
credevano in un essere supremo, detto «Makemake », dio della creazione, che
presiedeva anche al bene generale della comunità. Ogni uomo aveva il suo «akuaku
», spirito benigno per l'interessato, ma che diventava maligno per gli altri:
bisognava quindi guardarsi dagli «aku-aku» altrui. Altro spirito: il «mana »,
il quale rappresentava la fortuna, la capacità, la potenza di ogni singolo
individuo: chi perdeva il «mana», era finito. Per questo è possibile che i
famosi «moai» raffigurassero gli antenati della classe dominante che, in
quanto eretti, racchiudevano e conservavano il «mana» della stirpe. Ogni anno
si svolgeva il rito dell'uomo-uccello. Ecco di che si trattava: i vari
contendenti dovevano partire a nuoto dalla costa sudoccidentale, raggiungere
certi faraglioni, e raccogliervi le prime uova deposte dall'uccello che ha
nome «fregata»: vinceva chi tornava per primo a Pasqua recando un uovo.
Le indagini condotte sulla vita dell'isola rivelano che, intorno al 1680,
Pasqua venne dilaniata da una terribile lotta intestina: da una parte la
«gente snella», e cioè i Polinesiani; dall'altra la «gente tozza», e cioè gli
Austromelanesiani. Da quel che se ne sa, i «tozzi» avrebbero abbattuto gran
parte dei «moai», in modo che le teste si staccassero dagli altari su cui
poggiavano, e quindi fossero private del «mana ». La battaglia decisiva
sarebbe stata combattuta su una specie di istmo che collega il grosso
dell'isola alla sua propaggine orientale. Vinsero, a quanto pare, gli «snelli
». Si trattò però di una vittoria ottenuta a caro prezzo: sembra che
nell'isola si giungesse persino al cannibalismo. .
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